Le scuole medie sono la giungla, la terra di nessuno. E’ un mondo feroce popolato da esseri informi, che non sono più niente e non sono ancora niente: non più bambini, non ancora ragazzi.
Sono indefiniti come le materie che studiano. Prendiamo l’educazione tecnica, ad esempio: che razza di materia è questo folle pastone didattico che pretende di insegnare a un ragazzetto di dodici anni tutto ciò che c’è di “tecnico” al mondo, dal funzionamento di un altoforno al disegno di un cubo in prospettiva?
Questi esseri esistono, ma è come se non ci fossero. Sono irrilevanti perché erano così bellini quando erano bimbi e avranno un qualche ruolo quando saranno più grandi, ma a quell’età di mezzo sono, in fin dei conti anche per se stessi, una gran rottura di palle.
Chi può considerare rilevanti quegli anni? Chi ne conserva un ricordo indelebile? Alle scuole medie circolano insiemi cellulari che interagiscono in modo maldestro: c’è quello già troppo cresciuto che picchia tutti per sfogare il suo gigantismo, perché è così ipersviluppato che alle coetanee non piace. Queste, infatti, preferiscono quelli più carini (e l’ipersviluppato, in quanto tale, mai potrà possedere quei lineamenti regolari
che lo farebbero risultare carino, egli è una bestia, è Sloth dei Goonies, ha la funzione dell’orso scemo nei circhi); a loro volta, però, quelli più carini possiedono lineamenti regolari perché sono ancora piccoli e dimostrano quindi sei anni, mentre alcune ragazzine già alle medie esplodono nel corpo con la forza di una giumenta gravida: si formano quindi queste astruse coppiette, formate da una Gina Lollobrigida in nuce che si struscia addosso a un innocuo Geronimo Stilton.
E poi c’è il battaglione degli anonimi, quelli non grandi, non piccoli, non belli, non brutti, quelli che si svilupperanno più avanti e trascorrono quest’età in completa trasparenza. Almeno gli altri combinano qualcosa per cui dire “sto vivendo”, ma questi invece scivolano via, sopravvivono. Vorrebbero far parte della bolgia, della giungla, della terra di nessuno. Vorrebbero picchiare, vorrebbero piacere, vorrebbero palpeggiare o essere palpeggiati. Lo vorrebbero persino disperatamente, ma questo non accade: il loro momento, nella vita, verrà più avanti. A loro adesso tocca stare in un angolo a guardare gli altri vivere.
Come fa Chiara, dall’angolo della classe, in quel primo banco davanti a destra, vicino alla porta di ingresso. Piccola e magra, passa praticamente tutta la mattina girata di sbieco verso la classe a guardare i compagni.
Guarda Giulio-Geronimo Stilton, che alla ricreazione corre in bagno a baciarsi instancabilmente con Roberta-Gina
Lollobrigida, due dodicenni che sembrano amarsi in modo infinito, che sembrano destinati a bruciare al fuoco della loro passione sfrenata e clandestina per tutta la vita, imprigionati non nel Quinto Canto dell’Inferno, ma nel terzo piano di una scuola media; guarda il gigante Antonio che, smessi i pugni ai compagni, frequenta il medesimo bagno per fumare, perché lui a dodici anni, per stazza e modi, potrebbe essere già il protagonista di Fronte del Porto; guarda Andrea, piccolo e cattivo, con il profilo lombrosiano del teppista, diventato famoso in classe perché da un paio di mesi ha cominciato a bestemmiare ferocemente, senza alcun motivo, utilizzando la blasfemia come insensato intercalare, tanto che il suo stesso respiro ha assunto la conformazione di inspirazione-espirazione-bestemmia-inspirazione-espirazione-bestemmia e così via; guarda il banco di Alessandra, sempre vuoto il martedì mattina perché lei si è auto-esonerata dalle lezioni di musica, dopo che una di quelle mattine
l’insegnante le ha fatto suonare da sola il flauto per vedere se aveva studiato la parte e le sue acutissime stonature avevano portato uno stormo di piccioni a schiantarsi coscientemente contro i vetri delle finestre della classe (però lei, almeno un giorno alla settimana, ha avuto il coraggio di rendersi invisibile veramente); guarda Severino, nome da predestinato, magro come un chiodo e silenzioso come un monaco, pallido e assente, con un futuro sicuramente complesso davanti a sé.
L’unica con cui parla veramente è la sua compagna di banco, Eleonora, che anche se bionda con gli occhi azzurri resta tra gli anonimi, perché è quel biondo-occhi azzurri diafano, pallido, austero, che di certo non attrae i maschi dodicenni come invece riescono a fare le sformate compagne neo-ciociare.
Per Eleonora e per Chiara, la vita comincerà più avanti.
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