Nel bestseller interstellare “Il principe del foro non esiste”, ho parlato soprattutto della professione dell’avvocato civilista, perché il mondo del diritto penale non lo conosco particolarmente bene. Nemmeno ora lo conosco particolarmente bene, ma nell’ultimo periodo me ne sono fatto un’idea più precisa, che magari ai penalisti risulterà banale o scontata, ma forse a tutti gli altri cinquecento milioni di lettori che avevano letto il mio libro
sugli avvocati potrebbe risultare interessante.
Ebbene, il punto fondamentale, secondo me, è che il diritto penale, nella sua applicazione pratica, è un diritto fondato sul Pubblico Ministero, il fulcro e il padrone del processo penale.
Tempo fa, un avvocato più anziano e ben più esperto di me, mi disse: vai a farti un giro in Procura, così vedrai dove si trova il potere in Tribunale. Di solito nei piani più alti, isolati ma con possibilità di controllo su tutto il resto, i Pubblici Ministeri, nelle loro ampie stanze decidono sulla vita delle persone.
E, in linea generale, quella che affermano è la Verità, e chi nega la Verità è per sua natura un eretico.
Ecco quindi che gli avvocati penalisti formano schiere di miscredenti, guardati nelle aule con sospetto e talvolta compatimento, perché si affannano a difendere posizioni che vorrebbero vanamente contrastare con la Verità, e lo fanno davanti a giudici che, in quanto colleghi dei Pubblici Ministeri, magari inconsciamente, sono più propensi a credere alla Verità piuttosto che all’Eresia.
In questo senso, a mio parere, è emblematica l’udienza preliminare, un filtro che dovrebbe decidere se un procedimento sia meritevole di dibattimento o meno, ma che nella stragrande maggioranza dei casi diventa un formalismo che viene adempiuto solo perché obbligatorio, tanto al dibattimento, quasi sicuramente, ci si andrà:
all’udienza preliminare, da una parte c’è un avvocato che arriva carico di fascicoli del peso di svariati chili, di appunti studiati per giorni e lunghi e analitici discorsi da pronunciare; dall’altra parte c’è un Pubblico Ministero che di solito si trova già nella stanza del giudice, ha davanti a sé la sola richiesta di rinvio a giudizio composta di tre pagine e al massimo un codice di procedura penale aperto, diciamo, sulla Costituzione. L’avvocato articola la sua difesa imbastendo ragionamenti e illustrando documenti, il Pubblico Ministero si richiama alla richiesta di rinvio a giudizio spesso senza aggiungere altro.
In un mondo perfetto, o quanto meno in un mondo ragionevole, in una situazione del genere a partire favorito sarebbe l’avvocato che approfondisce centinaia di pagine e non il P.M. che ne richiama tre. E invece no: l’udienza preliminare ha un esito quasi sempre scontato a favore del P.M., è una gara in cui uno dei due corridori parte a venti centimetri dal traguardo, e se il corridore che si trova alla partenza non è Usain Bolt, con ai piedi le scarpe di Mercurio e sulla testa la fortuna di Gastone Paperone, perderà.
Oppure ancora, mi sono sempre chiesto: perché se all’esito del dibattimento l’imputato viene assolto, nessuno mai viene condannato a rimborsargli le spese legali sostenute?
Per questo, quando leggo quei giornalisti che spalleggiano acriticamente le procure, ho sempre la sensazione che parteggino per la parte più forte, e quindi, in fondo, per la parte sbagliata: dovrebbero dare una carezza sulla nuca degli avvocati penalisti, altro che.
P.s. Già che ci sono, vi propino pure il mio compendio, ancor più riassuntivo, del diritto fallimentare: prendete quello che ho scritto sopra, sostituite le parole “Pubblico Ministero” con la parola “Curatore”, e vale più o meno tutto quello che ho già detto.
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