C’è un momento in cui si smette di crescere?
Io credo di sì, a me per esempio è successo nella taverna di Molon: avevamo quindici anni, ci trovavamo tutti i pomeriggi, e intendo proprio tutti, a giocare a basket con il suo Amiga, e il tempo si è fermato lì. Sì, poi sono cresciuto, ma sulla carta di identità e sulle rughe della faccia, più fuori che dentro. Se mi guardo allo specchio, e ci guardo attraverso, vedo ancora quel ragazzino, e forse tutto quello che è successo dopo è stata solamente una lunghissima serie di eventi, ma io sono ancora quello lì, e da quello specchio posso salutare il me di adesso, a volte con un sorriso, a volte con una lacrima, a volte con urlo. Perché il fatto che il tempo si sia fermato allora è stato un bene e un male: ho mantenuto uno sguardo sincero sul mondo, ma lungo il cammino ho sempre dovuto cercare disperatamente qualcuno che fosse come me perché altrimenti l’automatismo di chi dice che a trentasette anni bisogna fare per forza certe cose e non altre, mi avrebbe reso un disadattato. Cosa che comunque, in buona parte, sono.
Potrei riprendere il filo esattamente da allora, tornare in quella taverna e sedermi a giocare a quel computer come se nulla fosse, o potrei tirare il filo e vedere precisamente che è là che è
rimasto annodato. Perché poi il vero coraggio, secondo me, non è saper uscire da quella taverna, ma saperci tornare.
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