Poiché, in modo inspiegabile tanto per me quanto, immagino, per voi, mi capita ogni tanto che qualcuno mi chieda consigli su come riuscire a pubblicare un libro, ho deciso di scrivere questo prontuario, così alla prossima richiesta giro il link di questo post, e sono a post. Ah ah, con questa dovrei aver comunque scoraggiato qualsiasi ulteriore richiesta.
Prima di procedere, una precisazione: parlo utilizzando come fonte solamente la mia esperienza personale, e la mia esperienza personale è quella di uno scrittore, in termini di vendite, di medio livello. Cioè, se consideriamo che la media di vendite per libro pubblicato in Italia è meno di 100 copie (sul numero spropositato di case editrici italiane e sul delirio delle pubblicazioni vi rimando a questo precedente post), e quindi, in base a questo, componiamo una scala di scrittori che va da miserabile a piccolo a medio a grande ad autore di best seller e finisce con Stephen King in persona, ecco io sono medio. Lo so, non si giudica solo dalle vendite, ma qui cerchiamo di essere concreti. E se poi volete delucidazioni da chi ha un’esperienza diversa dalla mia, chiamate Stephen King.
Ecco, dunque, cosa fare per riuscire a pubblicare un libro.
1) SCRIVERE UN LIBRO
Sembra scontato, ma non lo è: per pubblicare un libro, dovete averlo scritto. Un libro, degno di questo nome. Che non vuol dire aver scritto per forza il seguito dei Promessi Sposi (che poi chissà che palle dev’essere, il seguito dei Promessi Sposi), ma vuol dire aver scritto anche un libro piccolo piccolo, ma meritevole di essere letto.
Per riuscire a far questo, bisogna innanzitutto saper scrivere. Altra considerazione scontata, ma, anche in questo caso, così non è: non tutti sanno scrivere bene, ma, ancor prima, non tutti sanno scrivere. Se una persona non conosce la grammatica, o l’analisi logica, o ha un vocabolario striminzito che se io dico la parola redarguire incrocia gli occhi e sviene, non può scrivere un libro. E invece c’è chi lo fa, e poi si lamenta se non pubblica il proprio lavoro. Non dovrebbe essere un problema, e invece lo diventa: se alle elementari ho fatto casino con il mio compagno di banco mentre la maestra spiegava la punteggiatura, e adesso butto le virgole sul foglio come una manciata di sale nell’acqua che bolle, e metto puntini di sospensione dappertutto anche quando non c’è nulla da sospendere, e metto i punti esclamativi alla fine di ogni battuta così facendo perdere l’effetto umoristico di tutte quelle battute, non devo scrivere libri, così come se fossi alto un metro e quarantacinque, e non mi chiamassi Spud Webb, non potrei pensare di vincere la gara delle schiacciate all’All Star Game della NBA.
Ok, sì, a scrivere si può anche imparare dopo la scuola, ma insomma, i fondamentali non si possono acquisire troppo tardi, perché chi li ha già imparati da tempo e li usa da anni, è molto più avvantaggiato.
Alla capacità di scrivere, aggiungiamo un po’ di stile e una qualche originalità e peculiarità rispetto a quello che si vuole raccontare. E qui veniamo al secondo presupposto necessario per scrivere un libro: bisogna saper leggere. Per capire se quello che scrivo può risultare interessante, dev’essere qualcosa che io leggerei volentieri, anche se non fosse scritto da me. Cioè dev'essere un libro per il quale io mi alzerei dal mio amato divano, uscirei di casa con la pioggia, andrei in libreria, spenderei 15 euro per comprarmelo, e dedicherei qualche ora del mio tempo, o qualche giorno, per leggerlo, e infine mi resterebbe qualcosa di quello che ho letto, perché mi sono immedesimato e in fondo quel libro ha parlato un po’ di me, o perché mi ha conquistato con la trama e i suoi colpi di scena, o magari perché, semplicemente, mi ha fatto ridere (e non è così semplice, in realtà).
Se mi piace Francis Scott Fitzgerald, il mio libro dovrebbe piacermi come Il Grande Gatsby, se mi piace Stephen King, dovrebbe piacermi come It, e se invece mi piace Fabio Volo, dovrebbe piacermi come E’ una vita
che ti aspetto. Ma se io non leggo Francis Scott Fitzgerald, né Stephen King, e nemmeno Fabio Volo, a ben vedere io non so nemmeno cosa sia avere uno stile e comunicare qualcosa di originale, o di condivisibile, o di avvincente, o di divertente, e in conclusione io non so nemmeno cosa sia, un libro. E non si capisce, allora, perché debba scriverne uno.
2) CERCARE LA CASA EDITRICE
Dopo aver scritto il libro - scritto sapendo scrivere e scritto sapendo leggere (altrimenti finirà dritto nel cestino, quello in cui avreste dovuto buttarlo voi, ancor prima di chi ce lo butterà poi) - passiamo alla ricerca di una casa
editrice: possiamo dire che la ricerca di una casa editrice è come, per un uomo, la conquista di una donna.
Innanzitutto, fatti salvi i colpi di fulmine (belli ma rari), bisogna impegnarsi moltissimo: non bastano due mail e una telefonata, non bastano tre contatti, non basta un semplice abbocco; ci vogliono centinaia di mail, centinaia di telefonate, centinaia di contatti e centinaia di abbocchi. Non è un’iperbole: proprio centinaia. E’ un lavoro lungo e costante. Inoltre, bisogna cercare di essere realisti e, soprattutto all’inizio, non voler strafare: se non sei Brad Pitt, o non hai inviti per l’after-party degli Oscar perché non hai mai interpretato un supereroe della Marvel in un blockbuster, è molto difficile che tu possa conoscere Angelina Jolie, farti trovare interessante e far sì che lei si innamori di te. Non pensare che dalle cataste di manoscritti che le macchine spargiletame scaricano ogni giorno davanti alla sede della Rizzoli o della Mondadori, chissà perché, proprio il tuo dovrebbe essere estratto e pubblicato, quindi comincia da quelle case editrici a cui puoi arrivare, perché per esempio vicine a dove vivi o perché hai qualche contatto diretto all’interno. Potrai avere certamente più attenzione, e se non va con la prima, né con la seconda, né la con la terza, né con la settantacinquesima, devi comunque provarci ancora, e ancora, e ancora, e così per un milione di volte, e poi ancora per un altro milione, perché ci sono molti più pretendenti per una casa editrice che per Angelina Jolie, ma anche per la figlia della lattaia con cui hai passato l’infanzia insieme.
Utilizza tutti i contatti che puoi, provaci, non avere paura a chiedere e a buttarti. Non fare lo schizzinoso o il timoroso, non avere paura a divulgare quello che scrivi anche se inedito, non preoccuparti dei diritti e di possibili plagi, hai visto troppi film, non pensare che ci sia qualche squalo di scrittore nascosto nell’ombra pronto a fregarti l’idea, farci montagne di soldi e passare la vita a Honolulu con i proventi di quello che hai scritto tu. Soprattutto all’inizio, non gliene frega niente a nessuno di te, e poi ogni altro scrittore è convinto di avere in tasca un Pulitzer e non verrà a copiare il tuo, e infine, insomma, non diventerai mai ricco facendo lo scrittore, quindi mettitela via e fai leggere più che puoi i tuoi lavori. Se poi avrai bisogno di un avvocato per difenderti da un qualche plagio, potrai chiamarmi pure e ti farò anche lo sconto, ma intanto non preoccuparti di questo, è come fare una corsetta dietro casa per sgranchirsi le gambe e già preoccuparsi della cassetta di sicurezza in cui mettere la medaglia d’oro olimpica di maratona.
E potresti anche non trovarla mai la casa editrice adatta a te e al tuo libro, questo devi saperlo. In questo caso hai due strade: o paghi, ma allora non pensare di avere troppo amore in cambio; oppure fai da solo, ti apri un sito e pubblichi lì le tue cose, o pubblichi in self-publishing: anche il ragazzo solitario che cammina sotto la pioggia con il cappuccio tirato su, a volte riesce a far colpo.
Se invece trovi la casa editrice che ti piace, pubblicherai il tuo libro, e così comincerai a conoscere come funziona. E capirai se ti piace o no. E poi, sempre con grandissimo impegno - perché resti sempre uno di cui non gliene frega niente a nessuno, diciamo solo un po’ di meno - potresti farti notare anche da altre, e se con la figlia della lattaia non ti dovessi trovare più bene, chissà mai che Angelina, ma anche solo Elisabetta, o persino la cugina della figlia della lattaia, un po’ più procace e quindi vero sogno erotico di gioventù, non possano cominciare a prenderti in considerazione.
3) PRESENTARE IL LIBRO
La pubblicazione non è mai il punto di arrivo. Certo è un passo avanti, c’è un editore che ha creduto in te, e quindi siete almeno in due a credere in quel libro.
Ora però è importante che sia letto, altrimenti è un insieme di fogli dello stesso valore di quelli che metti nel forno per cucinare la pizza surgelata (e se sull’editoria ti concedo qualche dubbio sulla mia effettiva esperienza, sulla pizza surgelata proprio no). Devi proporlo, devi far sì che la gente ne possa parlare, possa passarsi parola, anche se non puoi imporne l’acquisto, perché la gente deve comprarlo perché gli piace, non perché costretta da un tuo stalking (“Hai letto il mio libro?”, “Ehm…sì”, “E cosa c’è scritto al secondo capoverso di pagina 47?”).
Fai sapere che questo libro esiste, perché i mezzi di cui dispone la tua casa editrice quasi sicuramente non ci riusciranno, quel libro sarà in pochissime librerie e dovrà farsi spazio a forza: ricordati che la distribuzione nelle librerie è tutta in mano ad Angelina Jolie (maledetta superstar).
Poi però lasciate che il libro faccia la sua strada: se piacerà, saranno i lettori a darvi i loro pareri; se poi vi arriveranno pareri negativi, almeno è stato letto (se solo negativi, direi però che abbiamo un problema); se non vi arriveranno pareri, allora probabilmente il libro faceva veramente schifo (perché è sempre l’indifferenza la peggior
bestia).
Presentatelo, in luoghi che si prestino alle presentazioni (quindi evitate tutti quei posti dove la gente viene a fare dell’altro e vi dà sulla voce) e parlatene il giusto, direi al massimo mezz’ora. Parlatene voi, non fatevi fare lunghi pipponi celebrativi di presentazione da chissà chi, come se abbiate scritto chissà che cosa. Un vostro lettore legge il libro per voi, per quello che avete scritto voi, e vuole sentire voi che ne parlate, e sta tutto lì, non c’è bisogno di
altro. Se non è così, quello non è un vostro lettore.
E alla fine, quello che più conta: qualsiasi cosa abbiate scritto, non prendetevi sul serio, mai.
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