“Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”: con questa formula, viene introdotto uno dei più singolari personaggi del processo: il testimone.
Il personaggio è bizzarro perché, fatta salva qualche rara eccezione, il testimone perfetto, o diciamo anche solo normale, non esiste (come il principe del foro, mi ricorderete voi, amati lettori). E non sto parlando di un testimone che dica quel che va bene a me, sto parlando di un testimone normale in assoluto.
Il testimone-tipo oscilla tra due estremi: il coniglio e lo zelante.
Il coniglio è uno che nella vita di tutti i giorni è uno spavaldo, prende la vita di petto e ostenta di non aver paura di nulla, meno che mai di un’aula di tribunale, salvo poi trovarcisi davvero in quell’aula, chiamato davanti ad un giudice a testimoniare, ed ecco la mutazione: egli suda, balbetta, trema, e alla prima richiesta di spiegazioni rilascia gli sfinteri. Costui è preoccupatissimo, solitamente perché la sua spavalderia sottende un armadio con più scheletri di un cimitero etrusco e al solo varcare le soglie di un’aula giustizia teme un ingabbiamento d’ufficio, e allora non si espone su nulla, è reticente su tutto: “E’ vero che il 15 giugno 2015 alle ore 16.30, sotto casa sua, ci fu un tamponamento a catena tra trentasette veicoli, culminato con l’esplosione di un autoarticolato?” “Mmm…Non ricordo, è passato molto tempo, e comunque ho i doppi vetri”; “Lei si chiama Giovanni Rossi?” “Mmm…Non ricordo, è passato molto tempo da quando mia madre mi ha dato un nome”; “Guardi fuori dalla finestra: secondo lei quell’acqua che cade dal cielo sotto forma di gocce, cos’è?” “Mmm…Non saprei…Sudore?”
All’estremo opposto del coniglio c’è lo zelante, ovvero uno che, al fine di dimostrarsi estremamente collaborativo
con la giustizia, parla a raffica e a sproposito, affastella particolari inutili, si ingarbuglia e ti fa perdere le cause più
semplici: “E’ vero che suo zio ha posseduto per oltre vent’anni, in modo continuato e ininterrotto, il giardino davanti a casa sua?” “Sì, io ci ho passato l’infanzia in quella casa e ho sempre giocato su quel giardino, insieme ai miei amichetti. Mio zio è una brava persona, non ha mai chiesto niente a nessuno, ha sempre lavorato tanto, non ha mai dato fastidio a nessuno…” “Quindi lei giocava sul giardino con altre persone: i figli di suo zio?” “I figli di mio zio cosa?” “I figlio di suo zio giocavano con lei su quel giardino?” “Intende i miei cugini?” “Sì, i suoi cugini.” “I miei cugini cosa?” “Chi giocava con lei su quel giardino? I suoi cugini, i suoi amici, i suoi vicini o chi altro?” “Mi sta chiedendo se i miei cugini erano miei amici? Io di cugini ne ho tanti…” “I cugini di quello zio!” “I cugini dello zio? Io mica li conosco i cugini dello zio.” “Quindi lei sta dicendo che non si ricorda con chi giocava su quel giardino…” “Io…sì, cioè, non voglio che vengano scritte cose sbagliate, ok, sì, mettiamo che non mi ricordo. Non so nemmeno se ho uno zio. Forse non ho nemmeno un padre. Sono stato allevato da una famiglia di alligatori.”
E nonostante i testimoni vengano indicati all’avvocato dal suo cliente, in tutto questo, come al solito, chi è che dovrà poi andare a riferire al cliente medesimo che il testimone ha avuto lo stesso effetto di unghie di lupo strisciate contro una lavagna? E chi è che andrà a riferire che la causa è stata persa per colpa di quel teste? Ve lo devo dire ancora, o alla fine tutto questo mio blaterare di avvocati è servito a qualcosa? Chi è che si prende sempre la colpa di tutto? Basta, non lo dico più, lo sappiamo tutti, anche quelli che fanno finta di non saperlo, anche quelli che hanno fatto esplodere l’autoarticolato, anche i cugini dello zio.
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velia (mercoledì, 17 giugno 2015 14:41)
Molto simpatico e distruttivo per i testimoni.Mi auguro che ci sia qualche eccezione.