Dopo tanto parlare di grandi amori che ritornano, e di avvocati che si lamentano, e di bancari che si annoiano, e di emoticon che rompono la minchia, e di questo e di quello e di quell’altro, i miei lettori della prima ora mi hanno richiamato all’ordine e mi hanno fatto notare che sto da tempo trascurando un argomento fondamentale, oltre che un perno della mia scrittura e della mia visione del mondo: la birra.
In Sognando un Negroni avevo dedicato uno specifico capitolo ai pub di Verona, poiché consideravo quei luoghi il miglior posto, per me, dove divertirmi. Poiché, tuttavia, i pub descritti in quel libro sono oramai tutti chiusi, sostituiti da grigi garage o da freddi ristoranti, si impone un aggiornamento del capitolo, un piccolo spin-off.
Possiamo quindi parlare di birrerie, ricordandoci che se i pub hanno chiuso perché non attiravano particolarmente le donne terrorizzate dalla birra e dalla macilenta bolla che questa provoca, e se non ci sono donne in un locale non ci sono nemmeno grandi migrazioni di uomini salvo gli irriducibili come me, ebbene lo stesso ragionamento vale per le birrerie, che però sono più generaliste e ariose rispetto all’oscuro, e magnifico, mondo dei pub, e per questo continuano a esistere.
A dire il vero, possiamo ricordare due pub-baluardo che ancora resistono in città, ma con meno fasto degli indimenticati e mai troppo rimpianti Camelot e Highlander: lo storico Celtic, in Via Santa Chiara, con ottima spina anglo-irlandese, che poi altro non è che una stanza, dove si guardano le partite di calcio e si ascolta musica dal vivo, e, quando il locale è pieno, se un avventore rilascia un peto alla Guinness, tutti gli altri rischiano un brutto soffocamento; e l’Hartigan’s, in Vicolo Disciplina, ben curato pub in stile irlandese, che avrebbe tutte le carte in regola per essere perfetto, ma è frequentato per l’ottanta per cento da tecnici informatici con moderati problemi di socialità, per cui in questo locale difficilmente passerete una serata di delirio, ma potrete aggiornare con successo tutte le vostre applicazioni.
Venendo alle birrerie di Verona da me preferite, eccole.
ITER, Via Sturzo
Magnifica birreria hard-rock/rifugio di motociclisti (occhio a non fissarsi troppo negli occhi), nata sulle ceneri del vicino Ritrovo poi passato in mano ai cinesi che, come loro consuetudine, avevano imparato a spinare benissimo la birra, ma non a trasmettere umanità (chiediamocelo: i cinesi sono umani? O replicanti? O soldatini giunti sulla Terra da un pianeta alieno?). Ecco che quindi Il Cesco (questo il suo unico dato anagrafico che conosco, ma con cui disquisisco di birra come se parlassimo di fissione nucleare), ora proprietario dell’Iter, ha lasciato il Ritrovo e ha aperto questa meraviglia per bevitori, con una spina vicino alla quale farsi i selfie come al Colosseo, e un bancone lungo due chilometri dove passare le serate, ma anche la vita intera. Punta di diamante della casa, l’Augustiner: potrete innamorarvene, più di qualsiasi altra bionda che avete conosciuto in vita. Eletta miglior birra di Verona da me e dalla mia cricca di amici ubriaconi. Ottima anche la cucina.
TAVERNA CANSIGNORIO, Via Biancolini
Può un locale fondarsi, esclusivamente, sulla spina della birra? Può. E’ il Cansignorio. La sua HB Traunstein, spinata alla giusta temperatura (fresca ma non gelata) e con il giusto gas (poco), è una delle gioie della vita, da pensarci la notte (sì, io la notte penso alla birra, e allora? Meglio che pensare alle tasse o al lavoro). La stessa stanza dove si trova la spina potrebbe essere oggetto di visite guidate per scolaresche desiderose di apprendimento.
Il locale si fonda sulla birra perché il resto, diciamo, non spicca come quella: la location è carina, in uno stile pseudo-medioevale con una spruzzatina dei Corsari di Gardaland, ma ristagna spesso un certo odore di piscina comunale (come nei Corsari, appunto); la zona della città dove si trova il locale (una strada laterale di
Borgo Venezia) non è certo lo Strip di Las Vegas; i proprietari e molti degli avventori (al 94% uomini) non sono inclini a sganasciare di gusto. Ma la birra è tutto. La birra è vita. Viva il Cansignorio.
BOTTIGLIERIA BARALDI, Corso Porta Palio
Questa enoteca/bottiglieria, nel tempo, ha visto sempre più clienti fermarsi al bancone a degustare in loco la birra Ayinger che qui servono, leggera, fresca, un balsamo per le interiora e per la vescica. E a forza di ettolitri di Ayinger l’enoteca è diventata un vero e proprio locale, con tanto di tavolini all’aperto, e ha persino raddoppiato aprendo anche a San Zeno. Potenza della birra e di tutto quello che porta con sé.
Ideale per serate primaverili ed estive: ci si posiziona nel plateatico e si lascia scorrere la vita. Unico inconveniente: il locale chiude abbastanza presto e quindi ti ritrovi alle nove in mezzo a una strada ciucco come all’Oktoberfest, e invece sei in Corso Porta Palio a Verona, ubriaco ad un incrocio.
KOFLER, Piazza Pradaval
E’ una recente apertura che, sotto l’insegna di un generalista “risto-pizza”, nasconde una piccola gemma: la Lowenbrau a caduta. Roba da uscire di corsa da casa a mezzanotte lasciando gli elettrodomestici in funzione, solo per suggerne un po’ (io l’ho fatto, faccio tante cose strane). E’ un locale molto bello, forse manca della rudezza e dell’ignoranza necessaria a una vera e propria birreria, ma l’essenziale c’è, e non è nemmeno invisibile agli occhi, è sulla spina.
Cari amici lettori della prima ora, cari amici che, anche quando avrò 97 anni e mi porterò il fegato appresso in una carriola, mi chiederete quando scriverò il seguito di Sognando un Negroni, spero di avervi accontentato almeno un po’. Vorrei quindi lasciarvi con la frase-manifesto che io e voi non manchiamo mai di pronunciare quando, dopo una giornata di lavoro o dopo uno stress o una delusione ma anche dopo una gioia o un bel momento o anche dopo nulla di particolare, arriva la prima birra media (la prima, perché una sola non basta mai): che bello bere.
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