Con l’uscita del mio ottavo libro, rapito da manie di onnipotenza, mi sento titolato a lanciarmi in una piccola polemica letteraria.
Ho notato che ci sono scrittori mainstream e ultrapop, di quelli che vendono vagonate di libri scrivendo cose leggere, che quando vengono interrogati sulle loro letture preferite o sui consigli di lettura che vorrebbero dare, citano autori altissimi: Dostoevskij, Roth, Levi, e così via.
Farò ora una premessa sul tema, e poi trarrò la mia, ovviamente non richiesta, conclusione. La premessa: io ammiro gli scrittori pop e mainstream, nel mio piccolissimo mi annovero tra questi, ritengo che se un autore vende molte copie è perché, in qualche modo, nel suo modo, abbia qualcosa di interessante da dire. E dunque, proprio per questo motivo, posso giungere a una conclusione sincera: quando dite che i vostri riferimenti letterari sono quelli, non ci crede nessuno. O almeno non ci credo io.
Mi spiace, ma io questi scrittori non me li immagino proprio con la vestaglia di seta la pipa e il monocolo a leggere Dostoevskij. Non me li immagino nemmeno ad appassionarsi a Philip Roth. Perché se così fosse, anche loro scriverebbero libri diversi. In qualche modo quello che leggiamo ci ispira, e, quando scriviamo, ritorniamo da dove proveniamo come lettori: io non mi vergogno di dire che leggo Stephen King, o John Grisham, o Don Winslow, o Diego De Silva, o Paolo Villaggio, o Nick Hornby, o la biografia di Keith Richards, o quella di André Agassi, Michael Jordan, George Lucas. Uno scrittore pop proviene da letture pop, almeno in buona parte. Certo, ci si può anche elevare, come lettori, rispetto a quello che si produce come scrittori, bisogna certamente avere una profondità di lettura anche per la scrittura di cose leggere, e anche i Righeira, ad esempio, erano raffinati conoscitori della musica elettronica, ma insomma ci siamo capiti, non si può neanche esagerare, non si può tirare troppo la corda.
Il punto, secondo me, è invece proprio un’ingiustificata vergogna: ci sono certi scrittori ultraletti che si sentono in dovere di giustificarsi, che sentono il dovere di dimostrare qualcosa del proprio successo, che vada oltre il semplice e meritevole fatto di aver saputo intercettare il gusto e il sentimento di molti lettori. Vogliono darsi una patente: “Ho successo perché leggo Philip Roth”. Non è così, lo sai benissimo anche tu che dici questo. Se la tua scrittura fosse realmente ispirata a Philip Roth, venderesti molto meno di quello che vendi. Non citare Primo Levi perché lo hai letto alle medie, non ce n’è bisogno, il tuo successo è meritato comunque.
Sarebbe come se Roberto, il titolare della pizzeria al taglio sotto casa mia, una delle migliori del quartiere, citasse tra i suoi punti di riferimento Massimo Bottura: la sua pizzeria è piena lo stesso, e lo è perché la sua pizza è buona. E non c’è niente di più pop della pizza.